È uno dei testi più difficili che abbia mai affrontato.
È una storia a margine, Suttree, una storia di sopravvivenza, di sbando, di declino, di tragedie, di reietti. Affrescata da un McCarthy strabordante, eccessivo, ostico.
Non c’è redenzione sulla strada degli ultimi, solo un inciampo; per i più fiacchi una resa, per gli scaltri la fuga.
In una notte tumultuosa se ne andò per i meleti bui lungo il fiume mentre si scatenava un temporale e i lampi svelavano lui e il suo sacco vuoto. Gli alberi tutt’intorno si impennavano nel vento come cavalli e i frutti si schiantavano al suolo in un concitato scalpitio di zoccoli.
In piedi tra le foglie urlanti Suttree invocava il fulmine. Che scoppiò e tuonò e lui indicò il proprio cuore ottenebrato e lo supplicò per un po’ di luce. Sempre che esista qualche potere negli elementi della terra. Sennò riduci queste ossa in cenere. Se lo puoi, se lo puoi. Un cencio bruciato sotto la pioggia.
Si sedette contro un albero e guardò il temporale spostarsi sopra la città. Sono forse un mostro, ci sono dei mostri dentro di me?