Che tu sia per me il coltello – David Grossman

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Non so se sia un caso ma capita spesso che un libro assomigli alla mia vita; forse per questo motivo è stato così impegnativo da finire. Lettere. L’esigenza di scrivere. Le emozioni che scuotono. Le persone che squarciano. Una sola risposta: andare. Maledizione, Grossman che ti sei inventato? Perché mi hai costretto a questa fatica? Un pensiero che non mi concede tregua: cos’è avvenuto realmente in quel primo momento? E se non avessi sorriso in quel modo? E se non mi fossi stretta nelle braccia? Pensare che ho affascinato qualcuno in questo modo, senza fare alcuno sforzo. Quel che gli ho dato, quel che gli … Read More

Regole

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Non ci credo. Non che non creda nella società, ma non credo che esistano delle regole fisse, definite, scritte. Possono esistere le regole giurisprudenziali, formali, quelle che mi permettono di “legalizzare” (che brutto concetto e che brutta parola) la nascita di un figlio. Perché ogni singola regola è controvertibile, fragile, reversibile. La regola vera sta scritta dentro al mio cuore. Ufficializzare (nuovamente una pessima parola) la presenza di un figlio con un atto, con un editto, mi sembra qualcosa di cinico, di strumentale. Vorrei come prima cosa il SUO di bene. Allora farei tutto e solo quello di cui LEI ha veramente bisogno, il resto, … Read More

Distanze

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Unità di misura multiple si condensano in stati d’animo. Anni. Confrontati da parallassi differenti calano dentro più esistenze: chi non li ama, chi non li considera, chi non li teme. Chilometri. Rotolando verso un’alba, arriverei. Passi. Quelli che puoi contare in misure piccole sono spesso più distanti di quelli interminabili che calchi insonne in una stanza o di quelli affannati che mancano alla vetta. Prudenze. Risparmio inutile di piccoli imbarazzi. Centimetri. Mi avvicino e mi arriva per primo l’odore che ricordo familiare, mio. Socchiudo le labbra per ritrovare colma la misura, memoria di un sapore. Parole. Combinazioni varie di lettere che unisco tra loro creano … Read More

Latte

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Madre e bimba. Per il tuo frutto che meravigliosamente hai. Ti invidio. Per il tuo essere donna a donna. Per questo intelligente passaggio che la natura non ha scordato. Perché vi siete mischiate il sangue da dentro e ora il seno da fuori, così che impari a (ri)conoscerti esterna ma non estranea. Non dubitare però che tutto questo sia anche per te. Perché se ti avvantaggia il saperlo dell’essere figlia, altrettanto ti spaventi il furto di quell’altro cuore che con tanta cura era riposto accanto a te. Quel muscolo asincrono un poco più basso, scippato nel parto. Guardalo. Non sai niente di lei. Accostati, usalo, … Read More

Suttree – Cormac McCarthy

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È uno dei testi più difficili che abbia mai affrontato. È una storia a margine, Suttree, una storia di sopravvivenza, di sbando, di declino, di tragedie, di reietti. Affrescata da un McCarthy strabordante, eccessivo, ostico. Non c’è redenzione sulla strada degli ultimi, solo un inciampo; per i più fiacchi una resa, per gli scaltri la fuga.  In una notte tumultuosa se ne andò per i meleti bui lungo il fiume mentre si scatenava un temporale e i lampi svelavano lui e il suo sacco vuoto. Gli alberi tutt’intorno si impennavano nel vento come cavalli e i frutti si schiantavano al suolo in un concitato scalpitio … Read More

Certezze

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Sedia, tavolo, scacchiera, pezzi, campanello, orologio. Tocca a te. Muovi. Muoviti! Sbaglia. Perdi un pezzo. Annota l’errore. Memorizza il passo. Cambio di scenario. Riorganizza. Ricomincia. Rimuovi. Riprendi. Errati punti di vista. L’altro è sorprendentemente eterologico. Nell’unica partita a tempo non si può stabilire la durata di un’azione né la sua certezza; ma non tanto di efficacia, quanto di genitura. Molte sconfitte per quale vittoria? Violazione delle regole. Devo forse intendere tutto questo come una partita? Mi alzo e abbandono; lascio il campo, me ne vado. Ridiscendo il fiume (ma quale cavolo di fiume?). Nel viaggio verso la sorgente, all’ultimo bivio ho sbagliato affluente. Eccolo. Imbocco … Read More

Volevo fare il liceo

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Qualcosa andò male e mi ritrovai così in un istituto tecnico industriale.
La tradizione voleva che nelle prime sezioni (quelle meno suscettibili a pericolose variazioni di personale) si rintanassero i professori migliori: lo sguardo posato a volte non più distante la propria cattedra.
In quale scuola non si trova forse la 1a A?
Ai tempi, quindi, già se finivi nella F eri uno sfigato, i tuoi genitori avrebbero maledetto il sistema scolastico e la tua istruzione sarebbe andata a farsi benedire…
Per contare sulle dita delle mani la cardinalità della mia sezione avevo bisogno del mio compagno di banco: solo mettendoci assieme avremmo potuto raccoglierne tredici da contare.
L’ambiente non era male: in quaranta metri quadri respiravamo la nostra cultura in trenta; mi sembra di vedere nei tg di oggi la polizia scoprire un covo di disgraziati, materassi per terra, uno addosso all’altro a dormire, venti per stanza.
Trenta, tutti maschi. Eravamo disperati, si, ma non lo sapevamo.