È un trattato di filosofia sociale contemporanea (andrebbe fatto studiare a scuola, per me), meravigliosamente trasportato nella vita di quel totale perdente (nel quale mi identifico totalmente) di Vincenzo Malinconico.
Si, mi mancano (ex) moglie e figli, la professione di avvocato di insuccesso (ma solo la parte di avvocato mi manca, quella di insuccesso ce l’ho tutta) e l’avversione per la cucina giapponese che invece amo (ma questo spero sia un falso, inserito solo per adattare la storia, o almeno spero!).
Non ce la fa proprio a non assecondare la sua atavica tendenza a rovinarsi la vita, è triste, fiero, soffre, e gioisce dell’esistenza tutta, con estrema e precisa lucidità.
Lui sa.
Poi decide a volte di fallire, di cedere, ma consapevolmente.
Non dà soluzioni questo libro, si avvale della facoltà di non rispondere.
Cosa, che a pensarci bene, farò pure io.
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Ora, vorrei aprire una parentesi. Per quale oscuro motivo, quando ti imbarchi in una discussione a contenuto sentimentale con la tua donna, arriva inevitabilmente il momento in cui ti trovi davanti al dogma? Alla notifica, cioè, di una fatto compiuto (ovviamente a tua insaputa; meglio ancora in tua assenza), indimostrato e palesemente illogico, che tuttavia lei ti depone davanti ai piedi come un macigno, una ragione inconfutabile che però non ti spiega manco per buona creanza e rispetto alla quale, anzi, vieni anche implicitamente informato che ti si è già prescritta ogni possibilità di rimedio? E tu non sai che cazzo dire. Te ne stai lì, a sentirti in colpa senza capire perché, mentre lei si limita a non aprire bocca.
Allora tu le domandi, nel modo più gentile e ragionevole che conosci, di farti capire qual è il problema che sembra abbiate, visto che proprio non lo vedi; ma lei, che non vuol saperne di spiegarsi, si limita a ripetere sottovoce la frase che non hai capito (il sottotesto è che non è neanche il caso che tu insista, visto che dovresti arrivarci da solo); e fra l’altro, il fatto che ti costringa a piegare la testa in avanti per farsi sentire è una cosa che ti ha sempre mandato in bestia.
Al che tu provi a fare qualche domanda, così per avere un aiutino; e proponi anche, all’impronta, un ventaglio di spiegazioni facilitate, col solo effetto di farla diventare ancora più reticente, per cui di lì a poco -è chiaro- perdi le staffe e cominci a urlare (ma non sapendo di cosa si sta parlando non riesci a coordinare gli argomenti e va a finire che balbetti delle frasi offensive senza capo né coda), e lei invece rimane calma, e la circostanza che si mantenga tutta anglosassone mentre tu vanveri all’impazzata ti fa incazzare ancora di più (perché poi in tutto questo, la cosa più inaccettabile è che non sai neanche perché state litigando), e allora dici cose che non pensi o vai riesumando fatti vecchissimi che non ti ricordi nemmeno bene, e nel giro di pochi minuti si apre una crepa di cui riesci a sentire addirittura il suono.
Così, stavolta decido di non prendermi più il disturbo di cadere consapevolmente nella trappola: mi chiudo nel silenzio anch’io, e vediamo cosa succede.