Mi ricordo un po’ di anni fa della tua innocenza. O forse mi piace anche chiamarla così perché è qualcosa che associo a quello stato: manca la capacità di reato.
E quello che mi torna facile è il tuo sguardo libero, sincero, diritto.
Qualche giorno fa ho incrociato invece un fuoco diverso, come se tu puntassi a una distanza che io non vedevo. E più mi sforzavo, più non ci trovavo niente, laggiù, in un punto che non sapevo esistere. Per qualche attimo mi sono chiesto, confuso, se fossi io miope.
Strizzavo le palpebre, nessuna nuova immagine.
Ho cambiato, scosso, d’improvviso il soggetto: dal vuoto senza fondo sono andato al bordo netto dell’iride; ti ho fissato e un velo opaco è sceso sul tuo occhio scuro.
Mi chiedo se sia solo la cataratta del tempo che sento passare, le occhiaie di una smania che non ti sapevo avere, le rughe delle cose che dovrebbero essere facili, un cerchio nero di pugni che hai voluto prendere o il gioco lasciato senza guardare perché una volta potevi essere bambino.