– Cosa ricordi?
– Le cose importanti.
– E quali sono?
– Ci devo pensare.
Un po’ di sabbia nelle scarpe. Dei più un fastidio.
La domanda è importante, cosa leggo no, non lo ricordo.
Mi avvicino e non lo so che svolta, muove il punto di vista e il bersaglio è a un altro piano, nel campo invisibile di un occhio che non sapevo miope, l’esistenza non mette mai a fuoco da sola.
Il quadro invece è fisso, non treman più le mani da troppo allora, eppure stan li a ingarbugliarsi nei fili della pancia.
Nel freddo fuori su un tavolo di legno a passar la voce ma non per altri occhi. E piove e calendari per chilometri: non c’era fretta come non ne trovo ora.
Geloso o a, e a? E a.
Di una panchina un mercato clandestino: disposti in bella vista cestini di parole, cassette, sacchi, ruote, due borse, almeno due; a barattarle sembrava di rubare.
Efferrerre, poco più in la degli occhi. Alfabeto.
Un lunghissimo non so; dimentico.
V
u
o
t
o
Bussano alla porta.
I vicini, inutili, sempre a farsi i cazzi loro quando servono, i tuoi a sputtanarti.
Ho lasciato aperto il gas, su un fornello arrugginito, una pentola: acqua.
All’inizio, come sempre, troppa ma ho studiato fisica e non cucina, mi vien da dire, inutilmente.
L’entalpia.
Eppure non me la ricordo.
Troppe regole e troppa poca arte, accade così che invece di mangiare, scoppio.
Eccomi.
Taglia i capelli, ho una molletta.