Ti ricordi la mia lettera?
No?
Ho dovuto crescere un bel pezzo di fegato (che non avevo) per inviartela, lo sai? Sono un po’ timido e chissà che difficoltà avrei avuto ad avvicinarti da subito. Non ci conoscevamo per niente e io potevo solo vederti da lontano; da lì mi sei sembrata bellissima: gli occhi, limpidi e profondi, forse anche troppo, con quel tuo sguardo che traduceva così tanto l’infinito che ti porti dentro, i tuoi ricci, che alle volte ti impazzivano la testa diventavano biondi sotto il sole dell’estate.
Quel foglio mi era sembrato un bel gesto, un modo delicato di avvicinarmi, di farmi vedere, avrebbe potuto lasciare un segno, da trasformare, se vuoi, in un ricordo magari buffo di un approccio così diverso.
Con te mi piaceva fare quelle lunghe passeggiate nella notte di Milano, con la città svuotata dal traffico e dai rumori. Ci voleva poco per rendermi felice, mi bastava la tua compagnia, il racconto della giornata, qualche parola scambiata, l’incontro con una banda di matti e le nostre risate subito dopo, un abbraccio, un panino e una coca al baracchino delle due.
Mi ricordo bene quando ci siamo addentrati nel parco e ci siamo seduti di fronte al laghetto: mi hai chiesto se avevo una moneta da buttarci dentro, non ci siamo mai più detti il desiderio che ci avevamo legato. Chissà se è finito sul fondo o invece ha potuto viaggiare e fino a dove? Magari nella pancia di un pesce o nel becco di un uccello, pescato dal cielo.
Quella sera del teatro io proprio non me l’aspettavo. Lo sai che mi piace moltissimo ma quando me l’hai chiesto, tu, mi hai sorpreso. Forse perché era un po’ di tempo che non ci chiarivamo e sono rimasto spiazzato. Quella volta mi sono comportato come un bambino, sono rimasto tutta la sera a pendere dalle tue labbra e anche a guardarle quelle labbra, ci morivo sopra, le inseguivo nei miei sogni di notte, di giorno ad occhi aperti, sgranati, fissi sulla tua bocca. Nonostante questo siamo anche usciti a cena, mi hai raccontato del tuo ex e di come ne eri uscita.
Anche io.
Di solito non è un buon segno e ti sarò sembrato uno sciocco, tu però hai sempre avuto questo strano potere su di me, di neutralizzarmi; come se già io non lo facessi abbastanza.
Il libro che mi hai prestato faccio fatica a finirlo, forse perché a volte me lo immagino come fosse l’ultimo legame, come l’ultimo possibile contatto anche se so benissimo che non è per niente così e che quello dipende da me.
Siamo tornati la notte a Milano ma stavolta non da soli, c’erano tutti i nostri amici con noi. A pensarci bene, adesso, mi sembra strano ma ci siamo divertiti tanto anche sotto il diluvio, in giro così, per strada, senza fare niente. Finalmente dopo un sacco di tempo mi sono sentito bene. Sentivo soprattutto di essere io, me stesso, riuscivo perfino a prenderti in giro mentre tu ridevi.
Quando sei tornata, in macchina con me, arrivati sotto casa tua non ti ho neanche chiesto di salire: ti ho seguita.
Poi lì, sull’ascensore, mentre cantavi, lì avrei dovuto baciarti.
Ascolta e impara: Ministri – Comunque