Una delle regole principali dell’improvvisazione teatrale è quella del cercare di non porre troppe domande a chi è in scena con te. Almeno inizialmente bisogna cercare di presentarsi, di contestualizzare il personaggio: dire chi sei, cosa stai facendo, trovare un legame che ti relaziona all’altro.
La domanda infatti inquadra la situazione sulla base della ignota risposta dell’altro.
La risposta è cioè un’entità incognita (non conosciuta) in partenza.
Questo è vero praticamente sempre.
Spreco però un avverbio (praticamente) perché purtroppo non sempre l’interrogativo che andiamo a porre è limpido: dovremmo cioè valutare meglio l’aspettativa che abbiamo nei confronti della possibile risposta: che cosa attendiamo, che cosa immaginiamo o addirittura già sappiamo della possibile reazione? La questione in sé dovrebbe porci in prossimità di una posizione ignota, oscura; se invece intuiamo o percepiamo la direzione di uscita, o ancor più, interroghiamo l’altro solo per riaffermare le nostre convinzioni (domanda retorica), partiamo invece da un punto ben affermato e solido.
Un ulteriore dubbio può essere espresso, inoltre, dal valore che assegniamo alla possibile risposta: quanto ce ne importa se è positiva, negativa o neutra? È determinante? Ci cambia davvero la vita?
L’insodabilità della risposta è, credo, garanzia della genuinità della domanda, di fronte alla quale, almeno un minimo bisognerebbe esitare, se non addirittura tremare.
Chi, completamente (e qui l’avverbio ci sta bene) inconscio delle possibili conseguenze, ci pone di fronte ad una così ardua scelta? Poiché, e di questo ne siamo ben consci (noi, invece), tra le possibili alternative ce ne saranno alcune più o meno gradite, ma per certo pure altre piuttosto sgradite, infauste o addirittura tragiche.
Il percorso di avvicinamento a questo bivio mortale è allora un possibile strumento di valutazione del questuante, anche se l’analisi può rivelarsi piuttosto intricata. Capita infatti che sia il percorso stesso a generare una domanda implicita, senza che questa venga espressamente formulata. E c’è un’ulteriore complicazione: questa, da dove nasce? È l’uno che percepisce il sorgere di una richiesta o l’altro che involontariamente la pone?
A questo livello cerco di sempre di vederci chiaro, non mi piace lasciare in sospeso qualcosa di non detto, anche a costo di cadere dalle nuvole, di millantare, di realizzare apocalittiche figure di merda.
Ci sono per me però due rigide eccezioni (e mi accorgo di essere molto severo in questo), la prima è la chiarezza dell’esposizione e la completezza della trattazione: se qualcosa è totalmente definito, descritto con parole semplici e brevi, con calma e con affetto, perseverare è facoltà, il più delle volte, inutile. Quantomeno nell’immediato; perché si sa, la natura è volubile.
La seconda è la provata inesistenza della risposta in presenza di una rilevante importanza data alla domanda: in questo non ci sono regole precise, solo con l’esperienza si capisce quando il chiedere è infine superfluo; di fronte cioè al palese manifestarsi di un’attesa, non corrisponde nessun interesse nel figurare una qualunque aspettativa e non si sfiora nemmeno l’idea, che all’altro potrebbe interessare quello che si potrebbe dedurre se solo ci si pensasse un istante.
Colonna sonora di questo brano:
Bob Dylan – Blowing In The Wind